Venezia sta sprofondando nel mare e il “fenomeno” dell’Acqua Alta, che mezzo secolo fa era un evento eccezionale, ora è quasi la normalità. Situazione ineluttabile, naturale o conseguenza del comportamento umano? 

Quando mille anni fa gli abitanti di Malamouco videro che per l’abbassamento della terra la loro città iniziava a sprofondare in mare l’abbandonarono e si rifugiarono sulle Isole Reatine, quelle in cui sorge ora Venezia, che erano molto più alte della laguna circostante. Per meglio proteggerle dall’erosione questi antichi veneziani decisero di palificare le isole: andarono in giro per i monti trentini e friulani e per le isole dell’odierna Croazia e tagliarono milioni d’alberi d’alto fusto che poi piantarono attorno alle isole e che usarono anche come base per costruire su qualcosa di solido le case e i palazzi. Tra le varie isolette lasciarono il passaggio per i canali che divennero le vie di comunicazione di questa città nata e cresciuta sull’acqua e dove non esistevano cavalli e carrozze ma solo barche.

Palazzo Mastelli, detto “Del Cammello”

L’acqua proteggeva la nuova città dalle incursioni degli eserciti che spadroneggiavano sulla terra ma l’eccesso di acqua era un pericolo per la sopravvivenza della città perciò i veneziani demandarono ad una persona sola, il Magistrato delle Acque, il potere di intervenire per controllare il livello dell’acqua della laguna. Il problema era simile ad un problema che un tempo si dava sempre alle elementari. Abbiamo una vasca da bagno (la laguna) che può contenere tot litri d’acqua. Ogni sei ore si chiude il tappo e si apre il rubinetto dal quale escono tot litri d’acqua all’ora (marea entrante). Dopo sei ore si chiude il rubinetto e si toglie il tappo che permette l’uscita di tot litri all’ora (marea uscente). Dopo quante ore l’acqua trabocca dalla vasca (acqua alta)? I magistrati delle acque che per secoli hanno governato il flusso dell’acqua in laguna per risolvere il problema cercarono di far entrare meno acqua possibile in laguna e perciò deviarono il corso dei fiumi che sfociavano in laguna e li portarono al mare, costruirono e rinforzarono un sistema di sbarramenti tale da impedire che le mareggiate potessero portare in laguna l’acqua del mare e lasciarono aperte per il traffico dal mare alla laguna tre bocche di porto che esistono tutt’ora: Lido, Malamocco e Chioggia. Per rallentare l’ingresso dell’acqua in laguna decisero anche di chiudere quasi del tutto queste bocche di porto stringendone l’ingresso e diminuendone la profondità a circa due metri (rubinetto più chiuso). Grazie a questi grandi lavori Venezia visse e prosperò per undici secoli durante i quali l’ingresso a Venezia avveniva solo via mare, solitamente dall’ingresso del Lido, e per questo motivo i vanitosi mercanti veneziani costruirono le loro case rivolte a questo ingresso e ne abbellirono le facciate in modo da far bella figura. Le navi che arrivavano piene di merci e oggetti preziosi spesso per il loro pescaggio non potevano entrare in laguna e allora i veneziani inventarono i cammelli. Questi erano dei pontoni dotati di argani che si affiancavano alle navi, poi venivano fatte passare sotto alla chiglia dei mercantili delle grosse gomene e, agendo sugli argani, si alzava la nave che così con un cammello da un lato e uno dall’altro, poteva entrare in laguna e attraccare alle rive di Venezia.

A differenza delle città romane che erano divise secondo gli assi principali in quattro quartieri, Venezia fu divisa in sei sestrieri. Ogni anno tutti i canali di un sestriere venivano chiusi e prosciugati in modo che gli abitanti potessero provvedere alla pulizia del canale e alla manutenzione delle fondamenta e dei pali che reggevano le case e la città. Terminati i lavori si toglievano gli sbarramenti e il sestiere riprendeva la vita acquatica di sempre. 

Questa vita a stretto contatto col mare portò a sviluppare a Venezia una forte cultura della navigazione il cui cuore pulsante era l’Arsenale, la zona militarizzata dove si costruivano le navi, i remi, i cavi e le vele delle navi veneziane mentre in particolari scuole si insegnava la cartografia, la condotta delle navi, a far di conto e le leggi della navigazione e del commercio.

Oltre a commerciare a Venezia si svilupparono tecnologie che arricchirono la città e che rimasero segrete per secoli come l’arte del vetro di Murano o la fabbricazione degli specchi.

La rete commerciale e i possedimenti veneziani nel Mediterraneo orientale.

Nel XIV secolo Venezia coi suoi 50.000 abitanti era la città più grande e popolata d’Europa e i suoi domini in terraferma arrivavano alle alpi, al lago di Como, a tutta l’Istria e alla costa orientale adriatica fino quasi a Dubrovnic. Creta, Cipro, il Peloponneso, Corfù, Leucade, Rodi erano tutti possedimenti veneziani ai quali si aggiungevano le basi commerciali a Istambul, Alessandria, Aleppo e in Crimea. La flotta veneziana percorreva tutti i mari, andava a prendere la lana nelle Fiandre e il bacalà in Norvegia. Una tale ricchezza non passò inosservata e attirò l’invidia di varie nazioni che combatterono contro di lei e all’inizio del 1500 si formò persino una lega di tutte le nazioni europee che per trent’anni combatté contro Venezia senza conquistarla.

Tra ricchezza, sfarzo, musica barocca e diplomazia Venezia arrivò al 1797 quando l’esercito della più giovane repubblica del mondo, la neonata Repubblica Francese, distrusse la più antica repubblica del mondo, quella di Venezia. Diciotto anni dopo, col Congresso di Vienna, Venezia passava all’Austria, nazione che non aveva contatti col mare e che non capiva molto di come gestire una città lagunare. Con l’unificazione d’Italia e il passaggio di Venezia ai Savoia, che non furono mai famosi per la cultura nautica, iniziò il crollo. Fu allora che si pensò bene di togliere un poco di tutta quell’acqua dalle case e di rendere Venezia più simile ad una “normale città di terra”, di chiudere i canali o riempiendoli di terra o coprendoli in modo da poterci camminare sopra; i vari rio terà [= rio interrato] che si incontrano ora camminando per Venezia sono quanto resta di questi antichi canali. 

Si decise poi di costruire un grande insediamento industriale e si gettarono a mare milioni di metri cubi di terra per creare il nuovo sito di Porto Marghera che provocò lo stesso effetto di un corpaccione che si mette nella “vasca da bagno” della laguna: diminuì il volume libero per l’acqua facilitando l’acqua alta. Per permettere alle navi mercantili di arrivare a Porto Marghera si decise poi di allargare le bocche di porto e la laguna iniziò ad allagarsi come mai in passato. 

Il ponte della Libertà è un ponte ferroviario e stradale di circa quattro chilometri (3 850 m circa) che collega il centro storico di Venezia con la terraferma.
Costituisce l’unica via d’accesso per il traffico veicolare a piazzale Roma e all’isola del Tronchetto.

Il fascismo costruì un lungo ponte stradale e ferroviario che collegò Piazzale Roma alla terraferma compiendo un altro passo verso la trasformazione da città di mare in città di terra. Si decise così di puntare sul turismo e tutt’oggi milioni di ignoranti turisti giungono a Venezia non entrando dall’ingresso principale, dal mare, ma dal retro.

A riprova che al peggio pare non ci sia limite arrivò infine la Repubblica Italiana. L’antico Magistrato delle Acque, che era sempre stato guidato da una sola persona e che aveva fatto nascere, sviluppare e protetto amorevolmente la città e la laguna, fu diviso in decine, centinaia di piccoli enti, istituti, comandi facenti capo ai vari comuni, provincie e regioni che avevano contatti con la laguna, spesso in lotta fra di loro e senza un piano comune. Le bocche di porto, che per secoli erano state tenute piccole per limitare l’ingresso del mare, furono ulteriormente ampliate e dragate e oggi nel canale che da Malamocco giunge a Porto Marghera si registrano profondità di 10 metri. Come non fosse bastato l’apporto di milioni di metri cubi di terra della zona industriale si gettarono altri milioni di metri cubi di terra per costruire l’aeroporto, restringendo ancor più la zona delle barene che funge da polmone della laguna. Si è poi continuata la politica di rendere sempre più pedonale Venezia chiudendo altri canali. Se cinquant’anni fa l’ufficio postale aveva l’ingresso a mare, oggi si fatica a trovare veneziani che sappiano remare, anzi, si fatica a trovare veneziani e ormai il mercato turistico attorno al centro è in mano a persone che di veneziano non hanno neppure il nome. 

Da mezzo secolo non si fa la pulizia dei canali, le fondamenta delle case sono pericolanti, i pali sono corrosi, l’acqua del mare penetra per decine di metri sotto alle case e ai palazzi erodendoli da sotto, e non si può di certo consigliare la pulizia dei canali a mano come si faceva una volta visto che le industrie chimiche di Porto Marghera scaricano in laguna di tutto. Tra i tanti dati basterà ricordare che alcuni anni fa la Montedison dichiarava all’Asl di scaricare in laguna 100 Kg di arsenico ogni anno. Alla faccia degli allevamenti di mitili della laguna. 

Non si naviga più con le barche a remi o a vela ma a motore e ogni giro di motore l’acqua spinta dalle eliche erode ancor più la base dei palazzi. Come non bastassero le eliche dei battelli, dei vaporetti, dei taxi e dei mezzi che servono per il trasporto delle merci, ecco arrivare ogni giorno le navi da crociera che transitano di fronte a San Marco scavando i fondali millenari e riversando migliaia di turisti smaniosi di un selfie davanti alle gondole. 

Per fingere di limitare i danni dell’acqua alta del novembre 1966 ecco nascere il Mose, il mega progetto che dopo decenni non è ancora terminato, il mostro che dovrebbe alzarsi dai fondali delle bocche di porto per difendere Venezia e la laguna dall’acqua alta. Anche in Olanda hanno problemi con le maree ed anche loro avevano analizzato un progetto simile al Mose ma lo hanno scartato perché costoso, difficile da realizzare, incerto come efficacia ma di certo costosissimo come manutenzione e gestione. Forse è proprio per le centinaia di milioni annuali di manutenzione che l’Italia lo ha scelto?

La decadenza e il degrado della città più bella del mondo sono sotto gli occhi di tutti e tutti guardano attoniti la sua fine. Chi potrà mai salvare una città di mare che da due secoli viene salvata da uomini di terra che di acqua salata conoscono solo quella per cuocere la pasta asciutta?

© Galileo Ferraresi, Bologna, 13 novembre 2019 

“El fero” che abbellisce le prue delle gondole, è uno dei simboli di Venezia e, partendo dall’alto, rappresenta il cappello del Doge, il bacino di San Marco, il Ponte di Rialto e sotto le sei linee che rappresentano i sei sestrieri della città, San Marco, San Polo, Santa Croce, Castello, Dorsoduro e Cannareggio cui si aggiunse, dall’altro lato e più tardi, la Giudecca. 

Venezia non fu mai sottomessa alla chiesa ma fu sempre religiosa e tra i sestrieri ci sono tre chiodi che ricordano quelli della crocefissione.

8 Comments

  1. La ignoranza e avidità umana qui ha manifestato la sua più grande espressione. L’attuale sistema sociale ed economico che ha permesso tutto questo è lui stesso che sta affondando e Venezia ne è l’esempio più evidente.

  2. Venezia fu una città di mare che seppe ben contrastare e difendersi dalle bellicose città di terra che aveva intorno. Una parentesi di storia : “Galeas per montes”

    Galeas per montes è il nome con cui viene chiamata un’impresa di ingegneria militare realizzata tra il dicembre 1438 e l’aprile 1439 dalla Repubblica di Venezia e che consistette nel trasporto di navi, galee e fregate dal mar Adriatico al lago di Garda, risalendo il fiume Adige fino a Rovereto e trasportando le navi via terra a Torbole, sulle rive settentrionali del lago, per un percorso di circa 20 km tra le montagne passando per il Lago di Loppio.
    La Repubblica di Venezia era in quel tempo una potenza nel mare Mediterraneo, e nel XV secolo iniziò una fase di espansione nella terraferma veneto-lombarda attraverso conquiste militari (p. es. Padova) o dedizioni spontanee, come Brescia il 20 novembre 1426 per sottrarsi al Ducato di Milano[1].
    Nel 1438, il duca di Milano, Filippo Maria Visconti, scese in guerra contro la Repubblica di Venezia e con una serie di fortunati colpi di mano prese il controllo delle terre lombarde fino al lago di Garda meridionale. Brescia venne posta sotto assedio dal capitano di ventura Niccolò Piccinino, al soldo del ducato di Milano, ma resistette, chiedendo soccorso al senato veneto.
    Il Piccinino aveva il controllo di tutto il settore meridionale del lago, al quale il condottiero veneto Gattamelata (Erasmo da Narni) poteva solamente accedere da settentrione, cioè da Torbole o da Riva, ora Riva del Garda. L’esercito milanese era inoltre asserragliato nei castelli di Peschiera del Garda e di Desenzano, rendendo troppo dispendioso uno scontro frontale. La Serenissima decise quindi di predisporre un piano militare che permettesse alle proprie truppe di sorprendere l’esercito visconteo passando a nord del lago.
    Il 1º dicembre 1438, dopo una lunghissima seduta, il Maggior Consiglio approvò la proposta formulata da Blasio de Arboribus, al servizio della Serenissima, e da un marinaio greco, Nicolò Sorbolo.
    Progetto e realizzazione
    I due progettarono di trascinare lungo la valle dell’Adige una flotta di navi, di trarle a secco prima di Rovereto e poi trascinarle su rulli di legno lungo il percorso della valle di Loppio per poi calarle nel lago di Garda in prossimità di Torbole. Da lì la flotta veneziana avrebbe attaccato di sorpresa quella milanese, ancorata a Desenzano, tagliando la strada alle milizie viscontee di presidio a Peschiera del Garda e forzando il blocco in modo da aver successivamente via libera alla volta di Brescia e poi anche di Milano.
    Realizzazione
    La flotta, costituita da 25 barche grosse, 2 galee e 6 fregate (o 6 galee e 2 fregate secondo altre fonti), salpò nel gennaio 1439 da Venezia ed imboccò le foci dell’Adige nei pressi di Sottomarina di Chioggia, risalì il fiume passando per Legnago e per Verona. Lì, essendo l’Adige in magra, dovettero applicare alle imbarcazioni una sorta di “galleggianti” di legno per ridurre il pescaggio e proseguire attraverso la chiusa di Ceraino sino ad oltre i Lavini di Marco, poco a sud di Rovereto, e a Mori.
    Vennero assoldati centinaia di operai: sterratori, falegnami e carpentieri che crearono una nuova strada fatta di tavole di legno, livellando il terreno e togliendo dal tracciato piante, macigni ed anche due case. Nel paese di Mori, poco a sud di Rovereto, la flotta venne tirata in secco e caricata su delle “macchine a tal fine inventate”. Poi, con l’aiuto di 2000 buoi requisiti nelle vicinanze e centinaia marinai e rematori delle navi con uomini del luogo, le imbarcazioni vennero fatte rotolare su rulli sopra la strada di tavole di legno passando per i paesi di Mori, e il lago di Loppio, che permise di rimettere le imbarcazioni in acqua per 2 km. Poi la flotta venne nuovamente tirata in secco e trascinata sul ripido pendio per il passo di San Giovanni. Durante la ripida discesa dal passo verso Nago le navi vennero trattenute con grosse funi assicurate ad argani e fatte scivolare lentamente verso la riva del lago, a Torbole. Raccontano i narratori dell’epoca che il peso delle navi era tale che diversi ulivi secolari, a cui erano stati fissati gli argani, furono letteralmente strappati dal terreno e che, per frenare la discesa, si ricorse all’accorgimento di attendere il forte vento che soffia da sud nel pomeriggio e di spiegare le vele per alleggerire il peso dei navigli.
    La complessa operazione, durata tre mesi, costò alla Repubblica di Venezia la favolosa cifra di 15.000 ducati, ma fu una delle più importanti opere di ingegneria militare mai realizzate sino ad allora e, come tale, divenne famosa in tutta Europa
    Conseguenze
    Il trasporto della flotta non riuscì tuttavia a restare nascosto ai milanesi e fu perso così il fattore sorpresa sul quale contava Piero Zen, capitano della flotta veneziana. Lo scontro avvenne al largo di Desenzano e la vittoria fu dei milanesi, che erano più forti di numero e che catturarono una parte della flotta. Solo due galee veneziane riuscirono a riparare nel porto di Torbole.
    Brescia non fu liberata dall’assedio, ma grazie al controllo navale della parte settentrionale del lago di Garda, i veneziani riuscirono a portarvi aiuti e derrate, permettendo alla città di resistere un altro anno all’assedio.
    Nel corso dell’anno 1439 venne allestita a Torbole una seconda e più potente flotta veneziana con il materiale trasportato da Venezia attraverso il già collaudato itinerario Adige-Loppio-Torbole. Nello scontro dell’aprile 1440 la nuova flotta, comandata da Stefano Contarini si scontrò con quella milanese al largo del Ponale e questa volta vinse la battaglia, acquisendo il completo dominio del lago.

    Nel soffitto della sala del Maggior Consiglio nel Palazzo ducale di Venezia un dipinto del Tintoretto rappresenta il durissimo scontro con i milanesi.

  3. Dieci anni fa ho assistito alla pulizia di un canale nel sestiere Dorsoduro, l’operato mi è sembrato simile a quello descritto nell’articolo per il quale la ringrazio. Amo Venezia da quando la vidi per la prima volta.

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