La paura è un elemento essenziale per la vita perché ci mette in allarme quando c’è un pericolo.

Senza paura ci butteremmo a capofitto in ogni situazione senza renderci conto del pericolo, e questo non è un bene, ma ci sono anche delle paure che sono indotte, che non servono a salvarci da un pericolo ma solo per abbatterci, per renderci impotenti, per modificare il nostro stato d’animo, i nostri pensieri, il nostro carattere, i nostri comportamenti. Nelle prossime righe scriverò della paura, di questa paura che pare abbia coinvolto un poco tutti, soprattutto negli ultimi due anni.

Era la fine degli anni ’50 e abitavo coi miei a Carpi in un appartamento che aveva un orto dove non coltivavamo nulla. All’epoca il mondo era attraversato ogni giorno da notizie sempre più allarmanti sull’aumento delle bombe nucleari che le due superpotenze mondiali, Usa e Urss, avevano prodotto ed erano in grado di lanciare distruggendo decine di volte il pianeta. 

Nella mia testa di bimbo di dieci anni tutto ciò era terribile e mi aveva spaventato al punto che un giorno presi una pala ed iniziai a scavare un buco nell’orto per costruire un rifugio antiatomico. 

Non avevo idea di come farlo ma la paura che mi era stata indotta era tanta che iniziai un’opera senza aver la minima idea di come farla, dei modi, dei tempi. Scavare della terra con una pala più grande di me non era semplice e dopo alcuni giorni il progetto di rifugio antiatomico subì una variazione in corso d’opera e divenne una pista per giocare con le bilie. 

Non avevo realizzato un bunker contro il terrore atomico ma avevo vinto la paura con qualcosa che mi dava piacere.

La paura che mi era stata indotta da bambino si è poi ripresentata varie volte: la crisi dei missili a Cuba, il colpo di stato in Grecia, la Guerra dei sei giorni, Piazza Fontana, la Strategia della Tensione, le dittature sudamericane … fino al marzo 2020 quando fummo segregati in casa. 

Il messaggio che trasmettevano tutte le televisioni era semplice: state tutti in casa e aspettate il vaccino. E mentre le auto del comune di Bologna giravano per le strade deserte con gli altoparlanti che urlavano “state in casa, non uscite, si muore” e i televisori trasmettevano immagini sempre più terrificanti, qualcuno esponeva bandiere e drappi colorati con su scritto “Andrà tutto bene”. 

Sono passati due anni ma io quel Tutto bene non l’ho ancora visto, però ho visto crollare il mondo del turismo, chiudere 30.000 esercizi di ristorazione, chiudere migliaia di piccole e medie aziende, migliaia di negozi abbassare la serranda senza riaprirle, migliaia di suicidi … Ma ho anche visto le grandi compagnie di distribuzione raddoppiare il fatturato e le grandi farmaceutiche raggiungere fatturati inimmaginabili per un comune mortale. E ho anche visto migliaia, milioni di persone sempre più spaventate, terrorizzate, incapaci ormai di intendere e di volere e credere ciecamente a quanto affermato da una televisione o da un giornale. 

Quando si affronta un argomento come la paura, un argomento che coinvolge anche delle sfere personali, emotive proprie e profonde, bisogna innanzi tutto chiedersi se si è disposti ad entrare in questa area personale, un’area dove non tutti vogliono entrare, e tanto meno lasciar entrare altri. 

  • chi non ha dubbi, 
  • chi crede che i governi mondiali abbiano agito solo per il nostro bene, 
  • chi crede fermamente che l’industria farmaceutica esista per guarirci e farci stare bene, 
  • chi è tanto terrorizzato da un virus da non ammettere che quasi tutti i malati avrebbero potuto essere curati a casa propria e guarire, 
  • chi è sicuro della vulgata generale,

ben difficilmente trarrà beneficio da queste righe perché ha ormai subito un tale lavaggio del cervello che io, e chi ha una visione critica di quanto è successo, siamo i nemici. E non si impara nulla dai nemici perché i nemici sono il male. E anche questo non è esattamente e sempre vero.

Partiamo da alcune certezze. La paura paralizza il pensiero razionale. Chi è terrorizzato dal covid è incapace di dare un senso, una priorità o anche solo un valore alle cose: gira con la mascherina in auto da solo perché non ha la freddezza necessaria per analizzare la situazione e affrontarla in modo logico. Non solo non può ma non vuole. Non vuole abbandonare la sicurezza che gli crea la mascherina.

Non importa fornire dati ed esempi differenti, quelli non contano, non importano. Solo chi è in grado di usare la parte razionale del cervello accetta un confronto sui dati e sugli esempi. Chi è spaventato non li accetta, non li guarda nemmeno. 

Con persone così si deve agire in modo differente. Tranquillizzarle, avvolgerle, abbracciarle, ascoltarle e ascoltare le paure profonde sulle quali si è installata la paura del covid. Solo allora potremo fare qualche passo con loro e riscoprire la loro umanità tormentata e destrutturata.

Ma come mai siamo finiti così?

Un neonato vive in una situazione pressoché idilliaca: dorme, è coccolato e quando ha fame la mamma gli dà la tetta col latte giusto e alla temperatura giusta. Cosa può desiderare di più? Nulla, ha tutto. Nessuna responsabilità e la soddisfazione completa dei suoi bisogni. Ma il bimbo piccolo ha un terrore: se la mamma sparisce lui è morto. Nessuno può sostituire la mamma. La mamma è la fonte della sua felicità ma è al tempo stesso la detentrice del potere sulla sua vita. 

Poi nel mondo del neonato compare un’altra figura, il babbo che col biberon può supplire alla funzione materna. Il padre diventa la nuova sicurezza che non solo può supplire alla possibile scomparsa della figura materna, ma può anche accompagnare il figlio nel mondo e dargli supporto e sicurezza.

Un tempo nella società agricola questi ruoli, materno e paterno, erano ben divisi e organizzati, poi nella società industriale sono calati di importanza fino a sparire. All’industria e al commercio non servono famiglie ma persone singole disposte a muoversi e andare dove servono per la produzione, senza legami affettivi. La famiglia con padre e madre è quasi sparita. Oggi molte famiglie sono formate da un genitore con uno o più figli e le figure genitoriali sono quasi scomparse, soprattutto quella paterna. 

Un tempo una madre vedova o divorziata aveva l’appoggio dei parenti, della sua famiglia d’origine, oggi non più, oggi si può appellare solo allo stato elemosinando un aiuto economico e un appoggio sociale. Per le nuove generazioni lo stato si è sostituito alla figura paterna. E non solo per i bimbi, anche per gli adulti.

Se un tempo il figlio bisognoso di sicurezza sapeva di poter contare sul padre, oggi sa che l’unico che può fornirgli sicurezza è lo stato. E quando si diventa adulti la figura del padre-stato resta. 

Attaccata prima dal movimento femminista e poi svilita da una comunicazione che al testosterone maschile privilegia la checca persa, la figura paterna è quasi scomparsa. Il maschio epico, protettore della famiglia, del povero, dell’oppresso e della pulzella abbandonata è una figura arcaica quasi estinta e che non è protetta neppure dal WWF.

Lo stato vuole prendere il controllo della persona e gestirla dalla nascita alla morte. Per ottenere questo usa la paura, e cosa c’è di più forte della paura della morte?

Non è vero che Andrà tutto bene, il mondo è cambiato e non tornerà più com’era prima. Nella storia non si è mai tornati indietro ad una situazione uguale a quella precedente, neppure il grande Congresso di Vienna del 1815 rimodellò l’Europa com’era prima di Napoleone.

Abbiamo solo due alternative: 

  1. o ci lasciamo trasportare dalla paura e ci abbandoniamo allo stato totalitario diventando delle pedine, degli schiavi, ai suoi ordini,
  2. o ci liberiamo dalla paura e decidiamo di diventare liberi, con le scelte e le responsabilità che ne derivano, facendo affidamento l’uno sull’altro, salvando il salvabile delle nostre famiglie e creando dei gruppi, delle organizzazioni civili, di mutuo aiuto.

Chi opta per la prima scelta può indossare la mascherina, meglio due, e mettersi in fila per la prossima inoculazione. Qualche pezzo dello stato lo accoglierà e lo farà sopravvivere senza dubbi e senza responsabilità; in fondo anche i carcerati vivono così.

Chi opta per la seconda, o almeno ha la curiosità di capire, di provare, continui a leggere. Ma nessuno si illuda, io per primo, di avere la soluzione a tutto e per tutti. Questo sarà un lavoro da fare assieme liberandoci delle catene culturali e comportamentali che abbiamo. 

Breve storia

C’è un elefante grande e forte che gira attorno an un piolo piantato per terra da cui parte una corda che gli lega una zampa. L’elefante potrebbe liberarsi senza fatica ma non lo fa, e il perché va ricercato nella sua infanzia. Quando era piccolo gli legavano una zampa ad un piolo, lui avrebbe voluto essere libero, correre e andare dove gli pareva ed ha provato per giorni e notti a liberarsi ma non è mai riuscito a spezzare la corda o il piolo. Sono passati gli anni ed ora, nonostante sia grande e forte, pensa ancora di non potersi liberare come quando era piccolo. Ne è tanto convinto che non ci prova nemmeno più.

Il primo passo per liberarsi dalla paura è ammettere di esserne dipendenti, e già questo non è un passo facile. È come quando un alcolista decide di entrare in un centro per alcolisti anonimi, ma dove possiamo trovare dei centri contro la paura? Li inventiamo noi col nostro comportamento.

Smettiamo d’isolarci e cerchiamo delle persone che vogliano uscire dalla paura o, ancora meglio, che non abbiano paura o che anche solo riescano a gestirla. 

Formiamo nuove amicizie, forse con persone che non conosciamo, ma che non sono dipendenti dalla paura.

Smettiamo di guardare la televisione, i giornali, i social che ci tempestano di notizie negative e terrificanti. Come non si smette di bere frequentando i bar e le osterie, così non si perde la paura frequentando le fabbriche del terrore.

E poi siamo reattivi: se la paura ci abbassa il morale e ci abbatte, facciamo il contrario, ridiamo, scherziamo, ironizziamo su tutto, anche sul covid, sulla malattia e sulla morte. Raccontiamo barzellette, storielle allegre, siamo leggeri. Non siamo qui per mangiare, dormire e lavorare, siamo qui per vivere pienamente, per essere felici.

Abbiamo a disposizione delle armi potentissime, usiamole per prenderci gioco delle paure indotte e distruggiamole. Inventiamo dei soprannomi buffi per quello che ci terrorizza, inventiamo storie per ridere. Con l’umorismo, l’ironia, e ancor più con l’autoironia, aiutiamo noi stessi e gli altri e nessuna paura ci potrà più travolgere perché

Chi sa ridere di sé stesso non sarà mai triste.

galileo ferraresi 15 gennaio 2022 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *