La Seconda Guerra Mondiale era finita e col trattato di pace del 21 marzo 1947 l’Italia, oltre a dover pagare 360 milioni di dollari ai vincitori, perdeva le colonie in Africa (Libia, Somalia, Etiopia ed Eritrea), i possedimenti in Cina, passava alla Francia alcuni territori di confine, consegnava alla Grecia Rodi e le altre isole del Dodecanneso di fronte alla Turchia, dava all’Albania l’isola di Saseno e alla Jugoslavia l’Istria, la città di Zara, le isole costiere e una fetta di confine fino a Gorizia. Oltre a tutto ciò l’Italia perdeva anche la città di Trieste, per la quale erano morti oltre seicentomila soldati italiani durante la prima guerra mondiale, che diventava Territorio Libero di Trieste sotto il controllo delle Nazioni Unite.

Trieste ai primi del ‘900 era il grande porto dell’Impero Austro-Ungarico, la porta d’ingresso per il centro Europa, il primo terminal europeo del Canale di Suez ma poi nel ’43 era stata anche la sede dell’unico campo di sterminio in territorio italiano e nel ’45 era stata conquistata dalle truppe di Tito che avevano goduto di quaranta giorni di saccheggio incontrastato della città. Nel dopoguerra dalle colline carsiche della Dalmazia, dell’Istria e della Venezia Giulia le foibe, grotte formate dall’erosione dell’acqua, restituivano i cadaveri, spesso non identificabili, di persone torturate ed uccise anche solo perché erano italiane. Nell’aprile 1947 veniva condannata a morte, condanna poi commutata in ergastolo, Maria Pasquinelli. La donna colta ed educata, insegnante ed ex crocerossina, aveva ucciso con tre colpi di pistola il brigadiere generale inglese De Winton, colpevole ai suoi occhi di rappresentare la Gran Bretagna, la nazione che aveva abbandonato l’Istria ai serbo croati. A Pola, su una popolazione di 32.000 persone, trentamila fuggivano per rifugiarsi in Italia.


Il Seival, la nave usata da Garibaldi in sud America

In questo clima di disfacimento politico, economico e morale alcuni italiani pensarono di compiere un’azione che sbalordendo il mondo richiamasse l’attenzione mondiale sul problema di Trieste e della sua popolazione. Pensarono di portare un messaggio della Città di Trieste ai popoli di Brasile, Argentina e degli altri stati d’America perché si accorgessero di quanto stava accadendo in Italia. Essendo Trieste una città di mare e di marinai pensarono di portare il messaggio con una barca a vela, anzi, due.

Ideatore dell’impresa fu un dipendente del Lloyd Triestino che nel tempo libero recuperavano i corpi dalle foibe, Glauco Gaber. Al suo fianco c’era Rodolfo de Gasperi, un ex comandante di mercantili che all’epoca era dipendente delle Assicurazioni Generali. Appena lanciata l’idea alcune centinaia di persone si dichiararono pronte a partire e i due furono costretti ad una dura selezione perché sulle due imbarcazioni c’era posto solo per dieci persone.


Parte dell’equipaggio

Le imbarcazioni, battezzate Italia e Trieste, erano due scialuppe di salvataggio in legno che i Cantieri Riuniti di Monfalcone dovevano ancora ultimare. Le due scialuppe, lunghe 7,32 metri, larghe 2,09 e con un pescaggio di 92 centimetri non erano certo nate per attraversare l’Adriatico, il Mediterraneo e l’Atlantico!

Come spesso succede il problema principale fu reperire i fondi necessari. Ognuno dei dieci partecipanti contribuì come poteva ma ben presto ci si accorse che coi i loro scarsi spiccioli non sarebbero andati da nessuna parte. Alle due scialuppe servivano due motori, attrezzatura di coperta, vele, radio, viveri, abiti, strumenti di navigazione e quelle centinaia di altre cose necessarie per una lunga navigazione. Montati due piccoli e strausati motori, uno a nafta e uno a benzina, fu la volta delle vele. Gaber andò nella storica veleria di Trieste dove il proprietario, Ernesto Zadro, risolse la faccenda a modo suo: “Una vela al terzo col fiocco sono 15 metri di tela; prenditi le vele. Se torni mi paghi, se non torni pace all’anima tua!”.

Un altro del gruppo, Giuseppe Reggio, recuperò non si sa come una radiotelefono militare, altri trovano il carburante per il primo pieno, altri ancora dei viveri, ma in tutti quelli che aiutano i dieci c’è un oscuro timore che un giorno si concretizzò in una frase:”andate, andate pure, tanto a Trieste c’è ancora posto per un monumento”.

Alle ore 21.00 del 16 dicembre 1948 presso il Circolo Felluga i dieci ricevono le lettere del sindaco di Trieste per i presidenti Dutra del Brasile, Peron dell’Argentina e Truman degli Usa poi partono diretti a Venezia. Nella città della laguna gli equipaggi ricevono dal console argentino due bandiere della nazione che intendono raggiungere e alcuni viveri, poi ripartono subito, spinti da una forte bora, per Chioggia dove i pescatori li riempiono di cibo. Appena il vento gira a ponente si riparte ma le imbarcazioni, senza chiglia, scarrocciano ben oltre la boa che segna le secche della foce del Po e rischiano di finire in Jugoslavia. Con l’aiuto dei motori riescono a stringere il vento e ad entrare nella notte a Porto Corsini dove si affiancano ad un peschereccio che sta sbarcando il corpo del suo motorista ucciso con un colpo di pistola alla testa da un maresciallo jugoslavo che poi era fuggito sulla sua motovedetta.

Il 22 dicembre le barche ripartono dirette a sud. Passano al largo di Cervia, di Rimini, il vento rinfresca e navigano con solo i fiocchi facendo attenzione alle mine ancora vaganti nella zona e infine atterrano a Cattolica. Appena il tempo di dormire qualche ora che ripartono sospinti da un vento fresco: Senigallia, Ancona, Giulianova, navigano a sei nodi e la vigilia di Natale sono a Rodi Garganico, il 26 a Barletta e il 27 a Bari, ospiti del Comitato Profughi Giuliani e Dalmati. A questa serata in loro onore i dieci si presentano impeccabilmente vestiti nelle loro uniformi, puliti e curati in ogni dettaglio; e stiamo parlando di cinque persone su una barca di sette metri che naviga in pieno inverno!!

A Bari, memori della pericolosa scarrocciata tra Chioggia e Porto Corsini, e grazie all’aiuto del comandante della Capitaneria di Porto, i dieci lavorano per nove giorni per montare una controchiglia di 15 centimetri da prua a poppa per limitare lo scarroccio delle scialuppe. I radioamatori della città intanto danno una mano per sistemare la radio e cominciano i contatti diretti tra le scialuppe e Trieste. Raggiunta Brindisi il motore a benzina si rompe definitivamente e deve essere sostituito. Per questo lavoro, cui ne seguono tanti altri, i due equipaggi resteranno fermi per un mese, ospiti del collegio navale, poi ripartiranno per Otranto, Santa Maria di Leuca e Gallipoli. La traversata del Golfo di Taranto mette a dura prova le due scialuppe che sono costrette ad usare l’ancora galleggiante ma infine riescono a raggiungere Messina dove due uomini dell’equipaggio sono costretti a lasciare l’impresa e tornare a casa. Il 14 febbraio le due scialuppe sono a Palermo e ricevono in dono un apparato radio dal Banco di Sicilia. Un mese dopo, il 14 marzo, le due imbarcazioni lasciano l’ultimo porto italiano, Trapani; rotta per l’Africa.

Capo Bon, Biserte, Bona, Algeri, Tipazà, Orano sono lasciate di poppa ma poi il vento si mette da ovest e il comandante decide di tirare un bordo fino alla Spagna e arrivano a Capo de Gata. Proseguono per Almeria e per Motril dove, visto che sono su due scialuppe di salvataggio, sono accolti come naufraghi. Poi Malaga e alla mezzanotte del 24 aprile entrano, bagnati fino alle ossa ad Estepona. All’alba ripartono e raggiungono Gibilterra. Hanno percorso 2.056 miglia, una delle due scialuppe, la Trieste, ha il motore in avaria e non si può riparare, le spese per il mantenimento di otto persone sono alte e la cassa di bordo è agli sgoccioli: si decide di proseguire con solo un’imbarcazione, il cui nome diventerà Italia-Trieste, e di far rientrare un equipaggio. Il 29 aprile i quattro rimasti attraversano lo Stretto e dirigono verso la costa marocchina e si fermano a Casablanca dove i francesi riforniscono di armi l’equipaggio: le milleduecento miglia di costa da Capo Bojador alle foci del Senegal sono aride e battute da bande di predoni che non si pongono scrupoli nell’ammazzare chiunque.

Il 10 giugno raggiungono Mogador dove una trouppe cinematografica sotto la guida di Orson Welles sta girando alcune scene dell’Otello. Una sosta ad Agadir permette di scoprire gruppi di raccoglitori di particolari conchiglie che, come nei tempi antichi, vengono utilizzate per tingere i tessuti di porpora. Nonostante l’intenzione fosse di raggiungere Dakar il vento li costringe a far rotta per le Canarie; il 20 giugno, a rimorchio di un peschereccio perché il loro motore non funziona, sbarcano, a Santa Cruz de Tenerife.

Il 16 agosto, alla media di cinque nodi, l’Italia-Trieste raggiunge il porto di Mindelo nell’arcipelago di Capo Verde e i quattro scendono a terra in cerca d’acqua per il serbatoio di bordo ma a Mindelo non piove da cinque anni e l’unica acqua dolce arriva via nave. Fortunatamente la nave batte bandiera italiane e il comandante li rifornisce gratuitamente anche di viveri e medicine.

Il 26 agosto, mentre stanno attraversando l’Atlantico dalle isole di Capo Verde al Brasile, la radio li informa che un uragano si sta muovendo verso di loro. Si preparano ad affrontarlo. Per alleggerire la barca buttano a mare tutto ciò che non è indispensabile, a partire dalla posta. L’uragano passa distante da loro ma il vento e le onde li hanno spostati verso l’Africa e le miglia da percorrere saranno molto maggiori del previsto. Sono costretti a razionare il cibo e soprattutto l’acqua: mezzo litro a testa al giorno sotto al sole equatoriale! Riprendono la navigazione ma la stanchezza e la mancanza di viveri si fa sentire. Il primo settembre la radio li informa che si sta formando un nuovo uragano. Sono a trecento miglia dal porto brasiliano di Natal ma il vento è da sud sud ovest forza sette e non riescono ad avvicinarsi alla costa. Dopo cinque giorni il vento ruota, cala e attraversano l’Equatore accolti da una serie di scrosci d’acqua. Finalmente hanno acqua dolce e la bussola di rotta segna sud, ma la bella navigazione dura poco, le previsioni non hanno sbagliato. Il vento rinfresca sempre più, le onde raggiungono i dieci metri d’altezza e hanno un fronte di oltre 250 metri. Tutti sono legati alla barca per non essere scaraventati in mare e indossano i salvagenti. Il tambuccio è chiuso ma un’onda sfonda un oblò, l’acqua bagna la dinamo che non caricherà più le batterie, la radio è fuori uso, il comandante è al timone, ma quanto durerà? Ogni onda sembra essere l’ultima. Il piccolo guscio si alza sempre sull’onda e regge, incredibilmente regge quel mare. Dall’otto settembre i radioamatori brasiliani hanno dato l’allarme: l’Italia-Trieste non risponde alle chiamate radio. I giornali brasiliani si buttano sulla notizia. Il nove settembre i giornali hanno titoli ancor più allarmati. Il ministero della marina dà ordine a tutte le navi mercantili e militari che si trovano in zona di prestare soccorso alla piccola imbarcazione, ma dov’è l’Italia-Trieste?

L’alba del nove settembre la piccola imbarcazione con uno straccio di vela sta filando verso sud quando uno dei quattro a bordo, Volcich, vede qualcosa di nuovo all’orizzonte: Terra! Le ore passano e, portolano alla mano, vengono avvistati e riconosciuti il monte Cascavel (300 metri), l’Azul (più basso) il Capo Iguape. Sono a 36 miglia da Fortaleza. Alle 16 30 l’Italia-Trieste entra in porto accolta da una schiera di fotografi, giornalisti, autorità locali e curiosi. La notizia che quattro triestini hanno rischiato la vita in mare su una scialuppa per far conoscere al mondo la situazione della loro città fa il giro del mondo.

Le autorità brasiliane riconoscono nei quattro non solo dei valorosi navigatori ma anche dei rappresentanti diplomatici e non si pongono neppure il problema dei visti e dei documenti: saranno liberi di girare e sostare a loro piacimento e i loro bagagli saranno considerati bagaglio diplomatico.

La mattina seguente il comandante tiene un discorso alla radio nazionale. Saluta i brasiliani, ringrazia i radioamatori e, dopo aver ricordato i legami che uniscono Italia e Brasile, fa appello al senso di dignità e giustizia di ogni popolo e chiede l’intervento del Brasile in difesa della causa triestina e che siano restituite all’Italia Trieste, Pola, Fiume e Zara con tutti i territori pertinenti. Mentre si susseguono le interviste e gli incontri ufficiali l’Italia-Trieste viene riparata e rimessa in sesto e può ripartire per Natal, Recife, Salvador, Porto Seguro, Cabo Frio, Rio, che raggiungono il 13 novembre. Ovunque si fermano l’accoglienza è calorosa ed entusiasta.

Il 10 dicembre sono a San Paolo e, dopo una sosta a Florianopolis giungono a Laguna dove la sosta è piena di significativi ricordi. Era il 1839 quando veniva fondato lo stato di Catarina comprendente Rio Grande do Sur e Laguna. Alla difesa di quello stato corse la nave Seival comandata da uno sconosciuto giovane italiano, un tal Giuseppe Garibaldi. E fu proprio a Laguna che Garibaldi incontrò una giovane diciottenne bela morena de grandes olhos negros e muito crianca chiamata Ana de Jesus Ribeiro che lo seguirà per tutta la vita, dall’imbarco sul Rio Pardo alla morte nella pineta di Ravenna il 4 agosto 1849 mentre i due cercavano di portare aiuto alla neonata Repubblica di Venezia assediata dalle truppe austriache.

Il 2 maggio 1950 l’Italia-Trieste, dopo una sosta a Rio Grande do Sur accolti, oltre che dalle autorità locali, dalla comunità italiana dello stato più a sud del Brasile, arriva a Punta dell’Este, in Uruguay e poi a Montevideo dove si ripetono le manifestazioni di affetto e di amicizia tra l’equipaggio e i locali che ancora ricordano l’aiuto prestato da Garibaldi e Anita alla loro indipendenza. Il 24 maggio 1950 la scialuppa Italia-Trieste attracca alla darsena nord di Buenos Aires. La navigazione è conclusa. Ancora incontri diplomatici, radio, giornalisti e fotografi, la consegna dell’ultima lettera del sindaco di Trieste con la richiesta di aiuto a Peron e infine il rientro a casa.

Il presidente argentino Peron chiede e ottiene in dono la scialuppa Italia-Trieste per il Museo della Marina Argentina e l’Alitalia offre i passaggi aerei all’equipaggio che da ventuno mesi manca da casa.

Il 7 settembre 1950 giungono all’aeroporto di Ciampino e il sindaco di Roma, Rebecchini, consegna loro una medaglia di bronzo in ricordo della loro impresa. Sarà la prima ed ultima delle cerimonie ufficiali in Italia.

All’arrivo a Trieste non ci sarà nessuna autorità ad attenderli, nessuna festa, nessun onore.

Durante la loro assenza Trieste è cambiata, è diventata l’ombelico della politica internazionale. Irredentisti, filoslavi, fascisti, nazisti, comunisti, democristiani, socialisti, Gladio, servizi segreti britannici degli Usa e dell’URSS, gruppi eversivi e paramilitari di ogni matrice possibile eliminavano gli amici del giorno prima che ora erano diventati nemici. Nessuno si sente sicuro di nessuno e di niente.

Anche i reduci dell’Italia-Trieste si schierano e questo li fa diventare per alcuni degli eroi, per altri dei provocatori.

La situazione politica internazionale mantenne Trieste in una situazione caotica fino agli accordi di Londra del 1954 che permisero il 26 ottobre dello stesso anno l’ingresso nella città delle forze armate italiane. Nel 1975 con gli accordi bilaterali di Osimo tra Italia e Jugoslavia i due stati incorporavano le zone A e B.

Nel 2012 la Commissione Europea ha accolto il ricorso di alcuni triestini che, appellandosi al trattato di pace del 1947, chiedevano l’esenzione doganale per le merci in transito per il porto e il non pagamento allo stato italiano del debito pubblico.

Sono passati più di sessanta anni da quando due scialuppe lasciarono il molo Audace per far conoscere la situazione di Trieste al mondo, molte cose sono cambiate da allora e i triestini non lottano più contro l’istituzione del Territorio Libero di Trieste, anzi, cercano di trarne vantaggio.

Tutto è cambiato. Non voglio, e non è il luogo, per analizzare le pulsioni che spinsero gli uomini dell’Italia-Trieste a partire, e non voglio nemmeno analizzare se la navigazione produsse o meno gli effetti sperati, ma di certo, dal punto di vista nautico, fu un’impresa.

© giugno 2014 Galileo Ferraresi

I numeri della navigazione dell’Italia-Trieste

Equipaggio:

Rodolfo de Gasperi

Glauco Gaber

Giuseppe Reggio

Giovanni Volcich

16 dicembre 1948 ore 23 30 – partenza dal Molo Audace di Trieste

24 maggio 1950 – arrivo a Buenos Aires

Percorse in mare 8.469 miglia

Attraccati in 48 porti

Tempo in navigazione 1.752 ore pari a 73 giorni

Velocità media 4,8 nodi