“La barca (in Italia) è un hobby da ricchi” , così intitolava una lettera a Bolina (numero 251) a firma di Marco nella quale si diceva che in Italia la nautica è sempre stata tartassata e che i gestori dei porti privilegiano le barche grandi e lussuose.

Il criminale sono io. Sono stato per alcuni anni il direttore di un porto turistico, un parcheggiatore legale di barche, il noleggiatore di pozzanghere nelle quali innocenti cittadini lasciano in ammollo il proprio giocattolo.

Perché ho fatto questo lavoro da “criminale”? Alcuni anni fa, dopo essermi lasciato di poppa 150.000 miglia, tornai in Italia; avevo bisogno di due cose difficilissime da trovare: un posto barca e un lavoro. Con un posto da direttore in un marina ho risolto i miei problemi, ma non quelli di tutti – ed in questo ha ragione Marco quando dice che viviamo in un mondo individualista.

Come direttore di marina sono stato costretto a vedere il mondo della nautica da un altro punto di vista, non come cliente ma come fornitore di servizi che deve far quadrare i conti di una società che, essendo una Società per azioni, e non un’associazione di beneficenza, dovrebbe fare degli utili, o almeno provare a raggiungere il pareggio, altrimenti fallisce.

Partiamo da dati certi. Le spese di costruzione di un marina (massi per i moli, cemento per le banchine, pontili galleggianti, cavi, le catene, maniglioni, corpi morti) e di gestione (materiali di usura, le utenze e il personale) sono quasi uguali ovunque. A parità di spese i ricavi sono differenti: un posto barca a Capri costa più che a Goro. Lo sappiamo tutti che i posti barca hanno prezzi differenti a seconda del luogo: la Liguria costa più della Sicilia, il Tirreno più dell’Adriatico. Da ciò si può dedurre che, a parità di spesa e di barche presenti, ci sono marina con un bilancio buono, marina che vivacchiano e marina che cercano di sopravvivere.

Esistono poi le tasse di concessione demaniale. Per la legge in Italia esistono approdi, ormeggi e porti turistici e ad ognuno lo stato applica tariffe differenti. I prezzi dei porti turistici sono enormemente più alti di quelli praticati alle associazioni, parecchie delle quali godono anche di contributi del Coni, della Fiv o, come la Lega Navale Italiana, sono “sotto l’alto patrocinio del Presidente della Repubblica”.

La finanziaria 2007 ha poi aumentato le tariffe di concessione dei porti turistici (quanto si paga allo stato per aver in gestione un’area) dal 400 al 700 %. Non è un errore di stampa: da 4 a 7 volte quanto si pagava nel 2006. I gestori dei porti turistici hanno manifestato contro questi aumenti ma nessun giornale o rivista li ha considerati.

Cosa farebbe un qualunque negoziante se improvvisamente si trovasse a pagare un affitto cinque o sei volte più alto per i muri del proprio negozio? Aumenterebbe i prezzi dei propri prodotti passando l’aumento sui propri clienti. Ed è quello che i porti turistici hanno fatto. Logico che i clienti non siano contenti. Se aumenta il prezzo della benzina nessuno è tanto miope da prendersela con il benzinaio. Se invece aumentano le tariffe di concessione, e quindi i prezzi dei posti barca, i clienti se la prendano con i gestori, non con lo stato che ha aumentato i canoni. Chissà quanto dovremo aspettare prima di vedere decine di migliaia di velisti – elettori arrabbiati svegliare qualche parlamentare.

Convengo con Marco che i prezzi dei posti barca delle barche medio piccole siano elevati ma vorrei fare una precisazione. Solitamente le tariffe sono proporzionali ai metri quadri d’acqua occupati dal posto barca, quindi i prezzi sono proporzionali alle dimensioni della barca. Si potrebbe definire un’applicazione democratica delle tariffe. La sproporzione deriva non dall’applicazione delle tariffe al metro quadro (ovvero ai millesimi di specchio acqueo occupato) ma dal rapporto tra il valore della barca e i metri quadri occupati. Se la barca di Marco vale 40.000 euro e paga 2.000 euro il rapporto sarà uno a venti, ovvero pagherà 1 euro ogni 20 euro di valore della barca.

Un motoscafo di 30 metri del valore di dieci milioni di euro pagherà 20.000 euro di posto barca con un rapporto di uno a cinquecento, ovvero pagherà 1 euro ogni 500 euro di valore della barca.

Nei porti turistici si applica lo stesso principio dei parcheggi in città. Per il parcheggiatore non cambia nulla se a parcheggiare è un’utilitaria o un’auto di lusso: la tariffa è la stessa. La differenza è per il proprietario dell’auto. I soldi del parcheggio per il ricco sono alcune monete che non vogliono dire nulla, per il meno abbiente invece i parcheggi sono cari. Non è che i porti turistici privilegiano le barche grosse, sono le barche grosse che privilegiano i porti turistici perché a loro, in proporzione al valore del mezzo, costano poco.

Anni fa andai a scuola di vela in Inghilterra e Francia ed imparai che in Inghilterra avere una barca a vela era una tradizione di famiglia, in Francia era un diritto acquisito ed in Italia… il simbolo di un reato. La mentalità di un popolo cambia quando cambia il significato dei simboli. Finché sui giornali, le TV, le stesse riviste nautiche passa la formula barca = lusso ci saranno sempre parlamentari che per farsi belli con discorsi demagogici proporranno leggi contro la nautica come il redditometro, l’aumento dei canoni demaniali o la tassa di proprietà e ci saranno sempre velisti tassati e depressi.

Per i poveri velisti italiani non ci sono quindi possibilità di avere una barca e tenerla ormeggiata in Italia spendendo poco? Si che ci sono. Se i velisti italiani non vogliono andare nei costosi porti turistici non hanno che da sfruttare le associazioni che già esistono, o fondarne di nuove, e costruirsi dei propri ormeggi. Le associazioni hanno delle notevoli agevolazioni e pagano molto meno di tasse governative. La legge lo permette, gli spazi ci sono, manca solo la volontà di organizzarsi e fare, ma questa è un’altra storia. Gli italiani, a differenza degli inglesi e dei francesi, sono maestri nell’arte del subire, lamentarsi e non agire. Un esempio storico? Non hanno mai tagliato la testa al proprio re.

È stato calcolato che nei primi cinque anni di Euro il potere d’acquisto delle famiglie è calato dal 30 al 50 per cento, sono passati altri cinque anni, si è aggiunta la crisi mondiale ed ora è un vero disastro. Ecco perchè Marco, il suo Marina e tante altre persone non ce la fanno più ad andare avanti come facevano il secolo scorso: il vero problema non sono le tariffe dei marina ma il crollo del potere d’acquisto della moneta.

Vivere in Italia, con o senza barca, è un hobby da ricchi.

@ aprile 2010 Galileo Ferraresi